Lumren vs Shamaya

La Battaglia fra Lumren e Shamaya, Oberian, 20 gennaio I anno Dominio dei Draghi (XIII anno di Regno di Linnea)

Dalla Trama Dominio dei Draghi

Autori: Lumren, Shamaya

Le dita affusolate della maga si puntellano sulla balaustra della torre d’assedio.
Il fisico è provato dagli sforzi della battaglia, dall’aver mosso pedine ad una distanza considerevole e con un ostacolo possente come quello delle mura di Oberian.
Ma non è per niente sconfitta; le porte della città sono aperte e ha lasciato il conte a sguazzare nel suo stesso sangue. Gli occhi le brillano di entusiasmo ed energia, la sua mente è sveglia e pronta a reagire.
Osserva lo scenario ai suoi piedi, come una dea che osserva i mortali, con sguardo di sufficienza e distacco.
Al centro, il suo adorato Segobath, appare in difficoltà. La magia che giunge da quel punto è potente, troppo potente. Shamaya solleva le spalle e le riabbassa, non è sua intenzione buttarsi in quel massacro. Se Segobath morirà qualcun’altro potrà prendere il suo posto, nell’esercito come nel cuore di Shamaya.
Sul versante orientale la Tessitrice ha creato una bellissima illusione.
Cosa farà la sua rivale in arte quando il nemico si accorgerà che è tutta una finzione?
Shamaya sorride. La Tessitrice non le è mai stata simpatica. Più volte è riuscita a mettere la sua magia in ombra, ma non oggi. Oggi probabilmente accompagnerà Segobath nella tomba.
E vissero per sempre felici e contenti.
Pensa con divertimento riportando lo sguardo più vicino a lei.
Bodo l’ha chiamata e lei ha risposto, ha mosso la sua prediletta donando ad entrambi protezione.
Sul campo ci sono diverse energie magiche, due delle quali prevalgono sulle altre. Shamaya sa che non è prudente sottovalutarle.
Per questo la sua bambina bionda rimane nascosta dietro la mole del chierico. Colpisce quegli strani uomini gatto, affonda la sua spada d’aria in loro e li trasforma da tigri a teneri gattini.
Appare completamente a suo agio, come se invece che in battaglia si trovasse al parco giochi all’interno delle mura di Oberian. Shamaya utilizza lo scudo di Bodo per darle la protezione necessaria ed il tempo per studiare i due maghi. L’uomo è fuoco, la donna è acqua benedetta.
È facile scegliere il prossimo avversario. In parte sceglie Bodo per lei, in parte vi è attratta da una sensazione. E proprio quando il Chierico accenna a muoversi, il piccolo furetto biondo sguscia fra le sue gambe divaricate e affonda la lama nel ventre del mago.
L’uomo forse nemmeno l’ha vista, ma ora può sentire aria gelida salire dal ventre fino alla testa, rimandando agli occhi un’immagine diversa della bambina che ora ha davanti; capelli neri come le piume di un corvo, occhi azzurri e stanchi, circondati da folte, ma perfette sopracciglia.
Shamaya aggiunge qualche ferita superficiale per emulare l’immagine che la mente del mago classifica con il nome di Balthys, all’interno della sua famiglia.
«Fratello salvami!»
E mai parole furono più vere e cariche di sentimento: un piccolo spiraglio dell’anima della bambina sotto il giogo dell’incantatrice.
Una voce vera come vere sono le braccia tese verso di lui in cerca di protezione.https://www.youtube.com/watch?v=Dv6Th7kJ64Q

Nel frastuono della battaglia, Lumren sente la voce allarmata di Mairwyn che gli grida qualcosa a proposito di una bambina.
C’è una bambina nascosta dietro il chierico, sì, adesso Lumren riesce a intravederne la sagoma.
Si sposta di lato per incontrare il suo sguardo.
Lo sguardo della bambin
E vede sua sorella Balthys.

Balthys che gli tende le braccia e sussurra:
«Fratello salvami!»
Balthys.

Lumren si aspettava quest’incontro.
Ha cominciato a prepararsi a esso sin da quando ha scoperto che tra i nemici c’è una maestra dei sogni e delle illusioni, per questo sa bene che non è davvero sua sorella quella ferma di fronte a lui.

Sa bene che non è nemmeno lo spirito di Balthys venuto a manifestarsi in sua presenza, come invece era successo sulla torre diroccata, al termine del rito.
Quella che vede non è altro che un’illusione provocata dalla magia di Lyala, e a ispirare quell’illusione è il suo stesso inconscio, raggiunto e penetrato dalla maga dell’aria.
Lumren sa tutto questo, eppure non può fare a meno di trattenere un singhiozzo.

Balthys…

Prende un lungo respiro prima di riuscire a parlare con voce ferma.
«Vieni, sorella mia» dice alla figura di fronte a lui, prendendo la piccola mano nella sua. «Qui è pericoloso. Vieni dove saremo al sicuro.»
Al contempo apre la sua mente.

E all’aria impalpabile che cela il nemico più pericoloso sussurra: accomodati.

https://www.youtube.com/watch?v=Dv6Th7kJ64Q

Accomodati
Accomodati
Accomodati
Shamaya sente puzza di bruciato.
L’uomo ha reagito come da copione, nessun dubbio. Eppure è quasi troppo facile.
Si umetta le labbra desiderosa di entrare in lui, di scavare nella sua mente e colpire il suo cuore.
Un mago da piegare al suo volere o far impazzire. Un altro successo da portare al suo generale o chi ne farà le veci.
La bambina fa scivolare via la mano da quella del mago per stringere su di lui le sue esili braccia. Un abbraccio forte, di chi prova orrore e vuole essere solo tenuto al sicuro.
La mente è aperta e libera da qualsiasi impedimento. È facile trovare ciò che cerca: un nome, una storia.
«Proteggimi Lu lu…»
Shamaya frena la voce della bambina, la corregge perché, nascosto fra le ombre, c’è dell’altro.
«Proteggimi Derwyndal, proteggimi! Ricordi nostro padre Ricklaunim? Eri orgoglioso della sua autorevolezza quando si oppose a… a Arnyon Selede!»
Shamaya ride, è davvero troppo facile.
«Nostro padre voleva proteggermi, voleva salvare il mio futuro. Perché stai combattendo per sua figlia? Derwyndal, cosa stai facendo?»
La domanda meriterebbe risposta, ma la bambina non smette di parlare e prepara un altro affondo.
«Quando torneremo a casa?»
Singhiozza Balthys esattamente come fece in quel lontano ricordo nella mente di Lumren, le stesse parole pronunciate in quella grande sala prima dell’esilio.
«Nostro padre è morto, mamma Daunhae non ce l’ha fatta e ha portato con se nostro fratello mai nato, ma tu sei qui Derwyndal».
La bambina si stringe a lui e solleva delicata una mano fino a sfiorare la cicatrice del volto di Lumren.
«Questa te l’hanno fatta quando hai cercato di difendermi, prima che mi portassero via da te, prima che mi facessero del male. Perché combatti per loro Derwyndal, perché non torniamo a casa insieme?»

«Proteggimi Lu…Lu… Proteggimi Derwyndal, proteggimi!»
La maga è abile.
In un istante è riuscita a scovare nella mente di Lumren il ricordo del suo vero nome, un nome seppellito sotto una coltre di lacrime e cenere.
La maga è abile e la sua magia dolorosa, più di quanto Lumren avrebbe immaginato.
Questa non è mia sorella. È un simulacro, si ripete con forza.
E apre la mente a un ricordo preciso. A molti ricordi precisi.

È la paura, la paura che gli provoca il vomito e che gli dà la sensazione di avere una lama incandescente piantata nelle viscere.
A volte Balthys bagna una pezzuola con l’acqua fangosa che i Mulai-dran lasciano nelle celle degli schiavi e gli tampona la testa. Questo lo aiuta un po’. Ma ci sono volte in cui Derwyndal non può fare altro che aspettare che passi, sforzandosi di non gemere per non spaventare sua sorella.
E lei gli si siede accanto, gli carezza la testa, gli prende la mano tra le sue.
Nel silenzio di quelle notti che sembrano non finire mai, Derwyndal guarda il viso di Balthys che sembra quello di una vecchia, le piaghe della pelle che segnano ciò che era morbido e levigato. La spontaneità del loro affetto è l’unica cosa che i loro carcerieri non hanno spezzato. L’enormità di quello che potrebbero ancora dirsi, che vorrebbero dirsi, è schiacciata dalla consapevolezza che le loro vite potrebbero finire tra poche ore, oppure tra molti anni di schiavitù.
Rimangono in silenzio, le dita intrecciate, strette per paura di perderle.

Il ricordo evocato fa tanto male al mago quanto provoca piacere a Shamaya.
Sente la paura attorcigliare le viscere dell’uomo, la nausea impossessarsi dello stomaco, il respiro venire meno.
Mentre lei assapora quelle sensazioni, lui soffre.
Un brivido di piacere percorre la schiena dell’incantatrice, il suo cuore pulsa nel petto desideroso di ricevere ancora più informazioni, consapevole di toccare punti molto sensibili in quella mente.
È un labirinto di emozioni e ricordi. Tanto dolorosi quanto attraenti.
La bambina scava, accarezza la fronte del mago, intreccia le dita con le sue.
Shamaya ne ricava piacere.

La trappola più subdola della condivisione delle anime è il rischio di finire invischiato nei ricordi altrui.
Lumren ha già sperimentato quel rischio, con Linnea. Si è esercitato a lungo proprio per imparare a resistervi.
Per questo adesso è sicuro di trovarsi in vantaggio. E porta la maga dell’aria sempre più in profondità dentro se stesso.
Anche se fa male.
Fa male ogni volta che ci ritorna.
Fa male e non vorrebbe tornarci mai più.

Talvolta, mentre osserva Balthys mentre dorme e ascolta le voci degli altri schiavi che mormorano e piangono nel sonno, Derwyndal riconosce la certezza che la morte sia imminente. La certezza si tramuta in desiderio, in speranza che sia morte per entrambi e che uno dei due non rimanga mai solo in quell’inferno. Quel pensiero gli stringe un nodo alla gola e gli riempie gli occhi di lacrime.
«Sarai felice e io con te. Siamo fratelli tu e io» canta a Balthys per farla dormire.
Il sollievo che si dipinge ogni volta sul viso di sua sorella gli spezza il cuore.
Al mattino Balthys segue Derwyndal dove gli schiavisti li conducono.
Nelle latrine. Alla mensa. Nei campi a raccogliere il frumento, nei boschi a raccogliere bacche e legna, a scavare nella terra sempre più in profondità, a portare secchi di calce, a posare mattoni. Non si lamentano. Non piangono. Derwyndal finisce le frasi di Balthys e lei le sue. Si passano le cose prima che l’altro le chieda. Si guardano e si sorridono, anche se sono stanchi, anche se sono spezzati, anche se non chiedono più nulla alla vita e la vita non ha più nulla da offrire.

«Sarai felice e io con te. Siamo fratelli tu ed io»
«Sarai felice e io con te. Siamo fratelli tu ed io»
«Sarai felice e io con te. Siamo fratelli tu ed io»

La bambina canta mentre continua a percorrere i ricordi del passato del mago. Non serve vedere per trovare la strada, sono i ricordi a condurla.
Scende le scale con lui da neonata, le risale insieme alla famiglia.
Lo rincorre fra le siepi del giardino. Ci sono passaggi chiusi, segreti, ma basta cambiare direzione per trovare altro di interessante. Un altro ricordo che fa male.

«Non ho trovato niente di bello da sognare Derwyndal. Desidero solo dell’acqua».
«Mi avevi promesso un posto dove c’era tantissima acqua. A Syrenton! A vedere il mare e il bosco sacro di Kimba»

Una nebbia sottile copre i ricordi più importanti.
Un poco più avanti piccola, così farà più male
Shamaya ordina, Shamaya muove, Shamaya gusta e attende il momento in cui lui cadrà.

«Cosa farò se loro verranno, stanotte?»

Lumren conduce la maga dell’aria là dove sa di poterla intrappolare, nel luogo più buio e segreto di sé. Una parte della sua mente è rimasta lucida, libera, indipendente. Quella parte che mentre condivideva l’anima con Linnea recitava le parole del rito e controllava il vortice elementale del fuoco, e che adesso studia la Balthys di fronte a lui, per scoprirne i segreti e l’incanto.
Ogni ricordo è una ferita.
Una vecchia ferita che ogni volta si riapre e sanguina.
Il cuore di Lumren brucia, i suoi sensi sono vigili, la sua mente si prepara a combattere.
«Cosa farò se loro verranno, stanotte?» chiede la bambina con l’aspetto di Balthys.
E a lei, non a Balthys, Lumren risponde:
«Resisterai.»
Alla maga dell’aria che vaga nella sua mente risponde con un ricordo del passato che maschera una strategia presente.
«Resisterai.»
(Resisterò)

«Quando non se l’aspetteranno faremo la nostra mossa.»
(Quando non te l’aspetterai farò la mia mossa)

«Stanotte verranno e cercheranno di schiacciarci.»
(Sei venuta a cercare di schiacciarmi)

«Tu resisterai, anche se farà male.»
(Io ti resisto anche se fa male)

«Noi fuggiremo e loro pagheranno il male che ci han fatto.»
(Ti sfuggirò e tu pagherai il male che mi stai facendo)

«Pagheranno mille volte.»
(Pagherai mille volte)

La sera Derwyndal stringe Balthys al petto e canta per lei una filastrocca che sentivano dalla loro mamma. Le parole le ha cambiate lui, apposta, e la canzone parla di come un giorno riusciranno a fuggire da tutto quell’orrore.
Sarai felice e io con te. Siamo fratelli tu e io.
Quando lei glielo chiede, Derwyndal le ripete la stessa bugia: un giorno riusciranno a fuggire dal campo degli schiavi. Devono solo fingersi docili e conservare le forze ancora un po’. Odia questo momento, odia se stesso per dover mentire così a sua sorella.
Derwyndal sa che questa vergognosa menzogna dovrà essere ripetuta più e più volte, perché Balthys le porrà quella domanda ogni sera al termine della canzone. Oppure ogni volta, dopo che i loro carnefici se ne saranno andati lasciandoli in lacrime sui giacigli.
Odia questo momento ma è contento che ci sia. Verrà il giorno in cui Balthys smetterà di chiedergli se riusciranno a fuggire in un posto sicuro, un posto dove nessuno verrà a picchiarli o umiliarli o violentarli. Quel giorno, trascinando i piedi su un sentiero polveroso, o infilando le mani in un cespuglio di bacche, Balthys sarà colta dalla consapevolezza che nulla cambierà mai. Il pensiero di essere schiavi, di morire schiavi non sarà più una ferita aperta ma una lenta rassegnazione.«Aaaahhhh Derwyndal, aiutamiiiii, ti pregoo»
Il grido di Balthys riempie la mente di Lumren sovrastando anche i rumori della battaglia.
Non sono più ad Oberian, ma in una fredda cella nella sterminata steppa dei Mulai-Dran, circondati da barbari con il membro turgido e la mente annebbiata dal desiderio.
Shamaya si umetta le labbra assaporando il frutto del ricordo appena scovato, quello più doloroso, quello più saporito, che segnerà la fine definitiva del mago, che sia per pazzia o crepacuore, e la sua trionfante vittoria.
«Noooooo, Noooo… Derwyndal ti pregooo, salvami!».
Piccole mani si artigliano alla veste del mago, alle sue spalle. Le unghie scavano nella sua pelle nel disperato tentativo di aggrapparsi a lui, di sfuggire alla presa di mani invisibili.
«Aaaaaaaahhh Aaaaaaaaaahhh AAAAAAAAHHHHHHH»
Le urla perdono la consistenza delle parole e diventano un unico suono, terribilmente reale, assordante come nel ricordo, qualcosa che continuerà a crescere di intensità fino alla sua definitiva rottura: nel ricordo la morte di Balthys, nella realtà quella di Lumren.

L’urlo di bambina affonda nel cuore di Lumren, lo fa a brandelli.
Il ricordo della morte di Balthys. Il dolore, il rimorso, il senso di colpa, la rabbia.
Non c’è null’altro di peggio, non si può scavare più a fondo.
Ma nemmeno questo strappa Lumren dalla sua concentrazione, dal suo obiettivo.
È abituato alle torture del Teocrate. È abituato a sognare i suoi ricordi ogni notte.
L’angolo della sua mente che combatte rimane libero.
Libero di fronte a…
Balthys non è Balthys.
È una bambina bionda, emaciata, vestita di stracci.
Se il suo fuoco interno fosse quello di una femmina della sua età, Lumren vedrebbe un equilibrio incerto dentro di lei, dove la componente del cuore prevale sulla mente e quella del ventre palpita in attesa di risvegliarsi. Se il suo fuoco interno fosse quello di una maga dell’aria, Lumren vedrebbe un perfetto equilibrio dove la mente guida cuore e ventre facendo risplendere il tutto di una luce accecante.
Ciò che vede Lumren è un guscio vuoto dove solo la mente resiste, aggrappata attorno a un pulviscolo che esce dalla sua testa e danza nell’aria, una traccia volante di lucine iridescenti che si allontanano dalla bambina. E conducono, di sicuro, a colei che controlla la bambina.
Lumren sposta la sua attenzione su quel pulviscolo e comincia a camminare.

Balthys ha degli incubi dai quali si sveglia gridando, Derwyndal si sdraia accanto a lei, le asciuga le guance e la tiene stretta finché non riprende sonno.
Anche lui sogna. Nei suoi sogni a volte si trova di nuovo a casa, la casa dei Llyrandor di Yavalderelle. Cammina nelle sale, nei corridoi. E’ solo.
A volte sente la voce di sua madre che canta un’antica canzone o racconta una favola. Ma quando entra nella stanza, la stanza è vuota.
Si sveglia coperto di sudore e lacrime. Fa male.
Fa male da morire.

https://www.youtube.com/watch?v=WXv31OmnKqQ

Fa male.
Fa male da morire.
Fa male ricordare. Fa male respirare, perché le costole rotte si conficcano a ogni fiato più in profondità.
Lumren ricaccia indietro quel dolore. Cammina e piange attraverso il campo di battaglia squarciato di sangue e sudore, e lamenti di moribondi e grida feroci di guerra e disperazione. Avanza fino a raggiungere ciò che resta di un’imponente macchina da guerra dopo che qualcuno l’ha data alle fiamme. Il pulviscolo iridescente scompare là dentro e Lumren lo segue.
Ecco la maga dell’aria. Seduta per terra, gli occhi socchiusi, persa nella sua concentrazione, smarrita nella mente di Lumren.
C’è una smorfia simile a un sorriso che le piega le labbra: le piace ciò che vede tra i ricordi di un ragazzo che un tempo si chiamava Derwyndal.
Quel pensiero attraversa Lumren e per un istante lo scuote di rabbia, poi tutto si placa.
La maga non fa resistenza, la sua mente è imprigionata. Forse nemmeno si accorge della magia di Lumren che si insinua e prende possesso di lei.
E quando ogni fibra del suo corpo è nelle mani di Lumren, lui decide di chiudere le porte della sua anima e respinge la coscienza estranea in un corpo adesso sotto il suo controllo.
La guarda negli occhi, occhi tornati vivi e consapevoli.
La maga non può fare nulla, ma lui la lascia vedere e sentire.
Oh sì, dovrà sentire ogni cosa.

Uno strappo della mente colpisce improvvisamente Shamaya rendendo cieca la sua vista ai ricordi del mago.
Come uno schiaffo violento le mozza il fiato ed il primo istinto è quello di aprire la bocca e di andare alla disperata ricerca di aria.
La sensazione è simile a quella di un legame reciso, ma la mente della bambina è ancora ben salda alla sua. Il filo non si è spezzato, non si è nemmeno scalfito.
Non ne cerca la causa, non le importa del dolore o del sangue che le cola dalle narici. È solo infastidita per essere stata interrotta così vicino alla sua vittoria.
Tanto è il desiderio di riprendere il lavoro che nemmeno si accorge di non essere più padrona del suo corpo. È la mano invisibile che le afferra il cuore a farle spalancare gli occhi davanti a se.
Ora la vede, la sua bambina. Vede negli occhi della piccola lo stesso terrore che attraversa i suoi. Vede il mago al suo fianco, la rabbia e la determinazione nel suo sguardo.
Respira Shamaya, la sua mente combatte, ma il corpo non risponde.
“Fermati sciocco”
Sussurra sofferente nei pensieri di Lumren.
“Uccidi me e la sua mente morirà come quella di tutti gli altri”.
Gli occhi dell’incantatrice si muovono ad indicare la bambina. Sul suo volto, quello che dovrebbe apparire come un sorriso diventa un ghigno sfigurato dal potere del fuoco interno.

Shamaya, è così che ti chiami.
È il primo pensiero di Lumren, il secondo è di stupito divertimento: dunque non sei Lyala.

“Uccidi me e la sua mente morirà come quella di tutti gli altri”.

La bambina usata come tramite. Altri bambini, molti altri usati come tramite.
Anche lord Rupert è stato colpito, forse a morte.
Le porte di Oberian sono state aperte.
Bambini usati come tramite per fare da sicari e guerrieri.
Bambini perduti. Perduti per sempre.
Lumren guarda Shamaya e sorride scuotendo la testa.
Balthys è morta e io non posso più salvarla.
Perché dovrebbe importarmi degli altri?
Accosta le labbra alle orecchie della maga immobile. E sussurra:
«Hai guardato il mio cuore che brucia. Vediamo come brucia il tuo.»
E accende le fiamme dentro di lei.

Lingue di fuoco si sprigionano dal cuore di Shamaya, scavano all’interno del suo corpo, ribollono il sangue e la infiammano da dentro.
L’incantatrice non può muoversi, non può urlare.
Sono i bambini legati alla sua mente a farlo per lei.
La piccola bionda, ancora fra le braccia di Lumren, è la prima ad alzare il suo grido disperato. Alla sua voce si uniscono quelle degli altri piccoli, sparsi sul campo di battaglia.
Fumo si alza dalla pelle dell’incantatrice ed i capelli, una volta scuri e lisci, si accartocciano su se stessi prima di tramutarsi in rosse fiamme.
I corpi dei bambini si piegano, cadono a terra, scalciano.
Non ci sono lame di fuoco ad avvolgere le loro piccole membra, ma solo la sensazione che viene amplificata dalle loro menti.
Gridano e si dimenano mentre Shamaya immobile brucia.
Brucia lei e attraverso lei bruciano le loro menti, i loro ricordi, la loro capacità di provare una qualsiasi emozione, un qualsiasi desiderio, perfino il dolore.
È l’uso della voce l’ultima cosa che perdono. Il grido si affievolisce lentamente, diventando un lamento sommesso, infine un impercettibile mugolio.
Di Shamaya non è rimasta che cenere.
Dei bambini è rimasto solo un involucro vuoto.

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