Ducato del Witchcraft

“Non so di preciso cosa sia la magia, ma so che inizia sempre quando non te ne vuoi più andare. Dai luoghi, dai pensieri, dalle persone.” Detto popolare del Witchcraft

Terra intrisa di conoscenze perdute e di misteri irrisolti, attira da sempre studiosi e arcanisti da ogni parte del mondo conosciuto. Witchcraft è infatti sinonimo di magia in ogni sua forma ed accezione.
E’ sede della “Torre Bianca” la più importante e rinomata Accademia della Arti Magiche del Regno amministrata dal Conclave dei Tre, è sede della Biblioteca Sospesa, scrigno di testi di indicibile valore e culla di interrogativi che da secoli attendono qualcuno che dia loro la soddisfazione di una risposta.
L’intensa attività vulcanica del sottosuolo ha reso il territorio screpolato e in quelle sottili insenature il vento e l’acqua hanno seminato numerosi laghi e fiumi, ricchi di sorgenti termali e sulfuree. Principale caratteristica del territorio.
L’ambiente montagnoso, ricco di laghi e di fiumi, non permette la formazione di villaggi di grandi dimensioni facilitando invece le costruzioni di torri isolate, dove i maghi più facoltosi pongono la propria dimora, luogo ideale per trovare la pace ed il silenzio necessari ad uno studio continuativo e proficuo. L’unico agglomerato urbano di grosse dimensioni è la capitale, il cui nome è omonimo a quello del feudo intero come se ne volesse rappresentare l’essenza più pura. All’interno delle alte mura, bianche e scintillanti come se fossero fatte di ghiaccio, ci si ritrova immersi in un mondo estremamente variegato: il gran numero di stranieri realizza un mescolamento di culture e di costumi che rende la Città della Magia affascinante e complessa al contempo; alla cacofonia di colori e di voci dei molti mercatini fa riscontro l’austero silenzio della grande biblioteca e del giardino del palazzo ducale, ai lati del quale sorgono due costruzioni gemelle che costituiscono un lungo corridoio d’accesso alla dimora del prefetto della città.
Ivi risiedono maghi e cavalieri che hanno deciso di dedicare la loro esistenza alla difesa del ducato o al suo duca. I primi, i Cavalieri del Drago, svolgono funzioni di guardia cittadina e sono così chiamati per l’eroica impresa portata a termine dai primi cavalieri del feudo, quando ancora non esistevano più di una manciata di case spruzzate qua e là tra le ampie distese di pascoli e i declivi rocciosi. Il loro capitano è eletto dai cavalieri stessi, ma la nomina dev’essere riconosciuta legittima dal Duca in carica; i Cavalieri dell’Aquila rispondono invece al solo volere di Lady Verdiana attuale Duchessa, assumendone i colori, verde e argento, e portandone il simbolo, l’aquila rapace, impresso sullo scudo e ricamato sul petto. Entrambi gli ordini abbracciano indistintamente maghi e uomini d’arme, promuovendo nel corpo speciale della Cavalleria Alata chi dimostra capacità tali da distinguersi in entrambe le discipline.
La città conta un solo tempio, dedicato indistintamente ad ogni divinità, rendendo evidente come lo spazio lasciato alla sfera religiosa sia piuttosto esiguo. Gli abitanti del Wichcraft sono infatti conosciuti attraverso lo stereotipo del ferreo individualismo e della venerazione di sé, immagine spesso errata, ma portata alla ribalta da secoli di governo teso più al mantenimento di ampi margini di indipendenza che alla creazione di uno spirito comunitario e nazionalistico. I commercianti del sud erano soliti parlare del distacco e della scarsa ospitalità degli abitanti narrando di “cuori freddi come i loro inverni”, ma da quando è salita al potere l’attuale Duchessa Lady Verdiana sembrano aver intravisto nuovi scorci di realtà.

La Storia

“Usare le parole per descrivere la magia, è come usare un martello per affettare l’arrosto”
Monaco Orco Gruughab

Geologicamente “giovane”, geograficamente indipendente e spesso sconvolta da disastri naturali il Witchcraft ha una storia turbolenta e avvincente, fatta di insediamenti barbari, geni di ogni tipo, aspre faide e oppressioni straniere. In questo ambiente climaticamente e storicamente aspro e impietoso, la vita dei suoi abitanti non è mai stata facile, ma le sfide e le difficoltà della vita quotidiana che nei secoli hanno plasmato lospirito dei suoi cittadini lo hanno reso al contempo fortemente consapevole del proprio burrascoso passato, ma anche incredibilmente resistente, spietatamente individualista, naturalmente innovativo e comprensibilmente fiero.
Fu soltanto nel 1580 Prima dell’Avvento Seleide (successivamente abbreviato con p.S. o d.S. se dopo l’avvento Seleide), quando l’esploratore e cartografo Thule di Ostara, dopo sei giorni di viaggio dal sud dell’attuale Dygray si accorse di queste nuove distese non ancora disegnate sulle proprie cartine. Vi giunse nella stagione d’inverno e la descrisse come un “mare congelato su cui soffia un vento infuocato”. Benché sia difficile stabilire se Thule abbia effettivamente fatto visita a quei territori o si sia basato solo su racconti di pastori, cacciatori e boscaioli locali è facile immaginare che quelle parole si riferissero all’attività vulcanica della caldera su cui secoli dopo fu edificata la Capitale stessa del Ducato attuale.
Per lungo tempo le dicerie, le leggende, e i racconti fantastici di tempeste indomabili, venti furiosi, di terre enigmatiche e di barbare popolazioni cinocefale – Thule scrisse di barbari guerrieri che scendevano in battaglia nudi salvo per l’elmo a forma di cane – tennero alla larga altri esploratori.
All’incirca nell’anno 1460 p.S. un monaco orco dedito a San Bertram, che era in cerca di solitudine, di un luogo isolato, sereno, in cui fondare il proprio monastero provò ad avventurarsi presso quelle popolazioni xenofobe. Non si sa se fu merito del proprio credo, o delle sue abilità quale fabbro, carpentiere e falegname, ma fu accettato e di fatto divenne il primo abitante di quelle terre instaurando con le genti locali un rapporto di reciproco rispetto – anche perché non sarebbe mai stato saggio far arrabbiare un monaco orco abile nell’uso del martello – diffondendo il proprio credo si formò attorno al suo monastero un piccolo borgo che prese il nome del monaco stesso: Knopman.
Il giovane villaggio divenne una famosa meta di eremitaggio e per molto tempo così restò, accogliendo chi, per i più svariati motivi desiderava fuggire dal mondo civilizzato.

“I vostri avi la chiamavano magia e voi la chiamate scienza. Io provengo da un luogo dove sono la medesima cosa.”
Lettera agli Estranei 5, 14-3

Dopo che il villaggio di Knopman divenne un baluardo verso settentrione e l’ultima testa di ponte per coloro che decidevano di cambiare vita che, quelle terre ormai esplorate e sottratte attraverso l’influsso dei monaci e missionari al dominio dei barbari cinocefali si avviò la cosiddetta “era della colonizzazione” tradizionalmente attestata intorno al 1105 p.S. Fu un periodo di lotte politiche dovute all’esodo in questa regione di svariate minoranze o intere comunità sotto la spinta da sud est del crescente potere dell’Impero di Osterton. Benché l’orgoglio nazionalistico delle genti autoctone derivasse dalla consapevolezza di discendere da un popolo guerriero essi erano divenuti ormai per lo più contadini, pastori o mercanti a cui mancava una vera istituzione di governo unitario. Dunque accolsero questi esuli assegnando loro territori non ancora abitati e involontariamente importando conoscenze, usi e una mescolanza di sangue che non ebbe uguali in nessun altro territorio dell’attuale Valle dei Sogni.
L’impero di Osterton possedeva una struttura di potete totalitaria e mal digeriva mutamenti e evoluzioni ad un sistema millenario e sedimentato nei propri meccanismi corrotti e clientelari.
Tra i numerosi fuggitivi si annovera Ingòlfur, un mago di eccezionale talento che in quest’epoca di magia naturale e istintiva riuscì a intuire la potenzialità del territorio in cui era fortuitamente finito ad abitare. 
Nascosto alla vista da una fitta vegetazione aveva ritrovato una immensa caldera vulcanica sopita, abbastanza alta da innevarsi d’inverno, sufficientemente esposta per accogliere il vento dai quattro punti cardinali e su cui ancora poteva percepire il riverbero del fuoco magmatico. Egli aveva percepito la presenza simultanea dei quattro elementi. Aveva trovato il primo e – si scoprì solo nei secoli a venire – unico punto focale materializzato di tutto il mondo conosciuto. Ingòlfur stabilì in quel luogo la propria residenza e dopo di lui vi giunsero altri studiosi e praticanti di primitive arti arcane. Secondo gli usi dell’epoca i coloni di alto lignaggio, giunti in visita in quella terra, dovevano gettare tra le fiamme le colonne del loro trono ligneo, simbolo dell’autorità e parte del patrimonio, gli dèi, secondo tradizione, avrebbero fatto ricadere le ceneri sul terreno più adatto a costruirvi la loro nuova casa o insediamento. Di certo alcuni sarebbero rimasti delusi dal gioco del destino, ma l’agglomerato urbano che si andava formando diede vita al primo esempio di governo: il Thinkellir.
Era un assemblea di rappresentanti nominati da ogni villaggio che usava ritrovarsi una volta o due all’anno per risolvere le grandi questioni (successioni, diatribe di confine, faide) e legiferare per il periodo successivo. Con l’intensificarsi dei commerci e degli scambi, non di meno il costante afflusso di maghi o sedicenti tali, fu necessario nel giro di poche generazioni passare ad una forma di governo più stabile e ufficiale. Fu deciso che gli uomini più potenti del territorio avrebbero formato un’assemblea generale per discutere dell’esercizio dell’autorità e amministrare la giustizia. Una struttura del genere non era mai stata messa in atto prima di allora e venne comunque ritenuta accettabile rispetto alle oppressive forme di governo da cui tutti erano fuggiti, tutti tranne gli eredi della tradizione dei guerrieri cinocefali che non ebbero voce in capitolo.
Quando furono convocati i “più potenti” signori del territorio ancora noto come “l’oceano di gelo e fuoco” si scoprì l’equivoco generato – che fosse stato un tranello, un’astuzia o mera ingenuità dei politicanti dell’epoca non ci è dato saperlo – che escludeva i veri possidenti terrieri, mercanti benestanti o famiglie dall’alto lignaggio a favore dei singoli usufruitori di magia. Modificare l’accordo firmato da centinaia di capi villaggio era impensabile ed ora chiunque avesse voluto aver voce in capitolo nel futuro governo avrebbe dovuto ottenere i favori di uno di questi “maghi” naturali o istintivi e fu così che “l’oceano di gelo e fuoco” fu ribattezzato “Fatto dagli Stregoni o Witchcraft”.

“C’è un’apertura tra i due mondi: il mondo degli stregoni e quello degli uomini viventi. C’è un luogo dove i due mondi si incontrano: l’apertura è lì. Si apre e si chiude come una porta al vento.”
Arcimaga Naomis Kampf

Alla fine del 880 p.S. ebbe inizio l’epoca delle Saghe. Il periodo in cui scrittori e storici trascrissero epici racconti di antichi insediamenti, lotte familiari, amori contrastanti e personaggi tragici. Le nostre conoscenze di questo periodo sono dovute principalmente a due antichi tomi: il Civilorrion, una cronistoria della colonizzazione del Witchcraft redata da Aristel la Saggia e il Lundellir una narrazione a carattere storico delle genealogie dei maghi dai tempi di Ingòlfur in poi a cura di Storminger Dans.
Dopo secoli di governo illuminato e pacifico che perdurava da quasi 200 anni iniziarono a mostrarsi i primi segni di cedimento, l’autorità centrale si rivelò sempre più inefficace e inefficiente a frenare le lotte per il potere fra signori rivali che sfociarono in faide violente e nella proliferazione di manipoli armati privati che, non diversamente da quanto avevano fatto in passato i guerrieri cinocefali secoli prima, razziavano in lungo e in largo tutto il Witchcraft. Questo periodo nefasto è detto degli Odasti – aggettivo dispregiativo con cui erano chiamati i razziatori e derivato da Odast, un mago-guerriero che guidò una delle prime bande armate – ed è narrato nei sei volumi della Odastian Saga redata da un gruppo di contemporanei di Odast che non mancò di arricchire di dettagli truci e fantasiosi le sue epiche imprese.
Mentre il Witchcraft cadeva nel caos l’Imperatore Harkeon Terzo di Osterton restava in agguato, facendo pressioni sui capi, sui religiosi e sulla nuova classe di ricchi aristocratici affinché accessassero la sua protezione e autorità e rinunciassero al secolare istituto del Thinkellir che valutata la situazione reale era già di fatto esautorato.
Fu così, senza spargimenti di sangue che il Witchcraft cedette la propria indipendenza se non per pentirsine subito dopo. L’Imperatore Harkeon mise suoi uomini di fiducia a capo delle istituzioni locali, sia religiose che laiche, impose un sistema di pesanti tributi fiscali e concesse a chi meglio lo serviva nuovi titoli nobiliari. Il più ambito, il titolo di primo Duca del Witchcraft, fu assegnato tra lo scalpore popolare a Ingòlfurson discendente diretto del famigerato mago Ingòlfur, ma con lui condivideva solo il nome poiché di fatto era un criminale ed assassino, basti pensare che nel resoconto storico del “Kalamar di notte” di Tememeri di Knopman si narra di come Ingòlfurson assassinò per l’appunto con un “Kalamar” il più famoso scrittore, filosofo e politico dell’epoca Gideon il Loquace per una sua arringa al Consiglio instaurato al posto del Thinkellir e presieduto dell’Imperatore che successivamente si disse molto divertito dalle parole usate per descrivere il primo Duca.
Negli stessi anni si ebbe un risveglio parziale della caldera vulcanica che ospitava quella che sarebbe divenuta la Capitale del Ducato del Witchcraft il che lasciò spazio nei secoli a seguire per la costruzione di nuove cinte murarie e nuove abitazioni più elevate rispetto alla prime e molto contese dai maghi e aristocratici più facoltosi.

“L’universo è pieno di oggetti magici che aspettano pazientemente il nostro ingegno per meglio autodefinirsi.”
Arcimago Haste Gabos

Di fatto il Witchcraft e il suo destino era nelle mani del “maggior offerente”. Nei cinque secoli di dominio Imperiale la regione rinacque completamente al fine di sostenere in modo speciale la formazione di maghi e più in generale usufruitori di magia da impiegare nelle campagne militari Imperiali. Va fatto un piccolo inciso sulla storia arcana della Valle dei Sogni, nei secoli che qui raccontiamo il flumen mirabilis (vedi capitolo 1 della sezione Arti Arcane) è ancora un mare in tempesta, qualcosa di maestoso e non domato, dunque i veri maghi, coloro che riuscivano a compiere veri miracoli erano pochi e non sempre utili agli scopi dell’Impero Ostertoniano. Per questo motivo c’era bisogno di grande affluenza di giovani talentuosi e di chi potesse addestrarli. Molti purtroppo perivano, distrutti dalla stessa magia che desideravano controllare, altri invece riuscirono a radicare in profondità il credo e la forma mentis che avrebbe guidato le scelte della nascente “Gilda degli Arcanisti” presso la città di Shasidar, in qui l’Impero aveva deciso di porre la prima capitale del Ducato.
Per cinque secoli il Ducato si arricchì e prosperò foraggiato dall’oro Imperiale. Furono costruite infrastrutture e servizi di ogni tipo, nei limiti di ciò che permetteva un territorio che restava ancora ostile e poco accessibile.
Dopo questo periodo di Pax Imperiale l’imposizione improvvisa e non accettata del singolo credo nell’Imperatore quale emanazione divina fece raccogliere attorno all’allora abate Waakhalar Xum del Tempio di Knopman una nutrita schiera di fedeli che diedero battaglia sulle rive del lago Seltun. Inutile dire come finì: l’abate fu catturato e decapitato in pubblica piazza per sedizione e cospirazione contro l’Imperatore, tutte le proprietà dei Monaci di San Bertram furono confiscate e consegnate nelle mani del Duca Lamabok ut Shasidar che utilizzò le cospicue somme di denaro per ri-fondare a ridosso della caldera vulcanica del Kwulait il nucleo urbano che diede origine nel tempo alla vera capitale del ducato.

“La magia è credere, e credere in sé stessi: se riusciamo a farlo, allora possiamo far accadere qualsiasi cosa.”
Lendela la Nera – Membro del Conclave

Quegli stessi cinque secoli di apparente pace e crescita che facevano bene solo alla borsa e agli interessi della “Gilda del Maghi” portò ad uno scontento popolare crescente. Intorno a 330 p.S. la consapevolezza acquisita di appartenere ad un unico popolo ed aver mantenuto nel tempo un retaggio culturale completamente differente da quello dell’Impero, nonostante la lunga occupazione, fecero crescere anelito all’indipendenza seminando i germi del nazionalismo che perdura ancora oggi nel cuore degli abitanti del Witchcraft.
Il Thinkellir, fino ad allora manovrato dagli emissari dell’Imperatore, approvò leggi che liberalizzavano il commercio anche con i territori elfici e più in generale con tutto l’Ovest, nell’arco dei successivi tre anni fu approvata senza l’autorizzazione Imperiale una bozza di Magna Carta che concedeva una rappresentanza popolare alle quattro città principali del Ducato all’interno della consulta del Thinkvellir.
L’Impero non poté reagire in modo incisivo, poiché troppo impegnato a gestire problematiche interne che ne minacciavano la sopravvivenza. In questo momento di libertà relativa si verificarono notevoli cambiamenti, le priorità socio-politiche cambiavano rotta, spostando il loro interesse dallo sviluppo rurale all’urbanizzazione e nel contempo, le innovazioni portate dai nani delle montagne dell’Est dei monti Aranoi diedero lavoro e nuovi impulsi alle produzioni.
Nel 300 p.S. il Thinkvellir alla presenza di una platea di ben diecimila persone raccolte a Shasidar proclamò l’indipendenza dal dominio Imperiale rendendo il Ducato del Witchcraft uno Stato Indipendente. A tutti gli effetti. In quegli anni gli Elfi erano usciti dal loro isolazionismo e avevano iniziato a contendere i territori del Dygray all’Impero e probabilmente questo aiutò molto il Witchcraft a liberarsi del giogo Imperiale. Strano a dirsi, ma in quegli anni vi fu un’esplosione di vitalità crazie ai commerci che servivano a finanziare la guerra tra la nascente Dinastia Seleide e l’Impero.

“Un’idea si può trasformare in polvere o magia, a seconda di come il talento la strofina.”
Silthanos il Grigio – Membro del Conclave

Non si può dire che i Seleidi conquistarono il Witchcraft, poiché questo territorio non possedeva una vera organizzazione militare da opporre ad un invasore. Si era liberato dall’Impero senza combattere e le pratiche e gli interessi dei signori di tale territorio e non di meno gli interessi della “Gilda” che casualmente combaciavano sempre con quelli del Thinkvellir non potevano dirsi pericolosi per i territorio adiacenti, ma di certo la mancanza di una forza militare di controllo poteva destare preoccupazione per chi, come i Seleidi avevano intenzione di stabilizzare la regione e unificarla.
Un altro dettaglio importante era il grande interesse per i flussi magici che percorrevano il territorio, sembrava che gli Dei si fossero lì riuniti ad edificare tutti i loro templi e che per questo quella terra fosse benedetta quanto maledetta dall’incommensurabile concentrazione di fonti magiche. La capitale del Witchcraft, quella che conosciamo noi oggi, era stata costruita su tale sorgente naturale di potere, un geyser, e conquistarla con le armi sarebbe costato molto sangue poiché nel 270 s.P. già vi erano due delle tre cinte murarie che conosciamo oggi.
Un ultimo fattore da considerare era la ricchezza del Witchcraft: per secoli aveva accumulato risorse tramite la “Gilda” e il rifondato ordine ecclesiastico dedito a San Bertram.
L’accordo fu semplice: il Thinkvellir acconsentì a rinunciare alla sua breve esperienza di Regno Indipendente in favore di una sostanziale libertà d’azione per quanto concerneva le arti magiche a fronte dell’annessione al Regno Seleide e alla sua protezione in caso di un ritorno di fiamma da parte dell’Impero.
La cittadinanza accolse in modo positivo la notizia. Esser amici degli elfi significava commerci, libertà di movimento e ulteriore cultura. L’unico scotto da pagare fu la progressiva scomparsa delle comunità naniche che tornarono alle loro montagne a causa dell’insofferenza innata nei confronti degli elfi e a seguire la perdità di conoscenze e abilità nello sfruttare l’industria che loro avevano introdotto.

Cultura e Società

“La cultura è un ornamento nella buona sorte, ma un rifugio nell’avversa.”
Detto popolare del Witchcraft
Secoli di isolamento, di dominazione e l’esiguità di una popolazione perarltro estremamente eterogena hanno instillato negli abitanti del Witchcraft alcuni tratti caratteriali particolari. Si tratta infatti di un territorio con una popolazione che non supera le 150.000 anime, dove tutti sembrano conoscersi tra loro e avere lontani legami di parentela, da qui la compattezza spirituale di queste genti, che considera i vincoli familiari di estrema importanza.
Com’è naturale per un territorio che vive in territori remoti e in ambiente piuttosto ostile, i suoi abitanti hanno un indole piuttosto individualista e autonoma, non amano sentirsi dire cosa devono fare da chi non fa parte del loro mondo. Un esempio lampante di questo fatto è l’assoluta visione positiva e ricordo dell’occupazione dell’Impero di Osterton che si tramanda anche in alcune celebrazioni popolari in assoluto spregio all’opinione del resto del mondo che li disapprova.
Gli abitanti del Witchcraft hanno fama di essere un popolo fiero e intrepido, con un carattere forgiato dalle asperità, inoltre, almeno per quanto riguarda le comunità rurali, si occupano per lo più di agricoltura o allevamento e solo in minima parte di pesca lacustre. Tuttavia non aspettatevi di avere a che fare con gente rozza e incivile, il Witchcraft ha sempre avuto una notevole tradizione culturale e un tasso di alfabetizzazione incredibilmente alto, oltre che grande interesse per qualsiasi espressione artistica, il che se è vero per l’intero ducato si nota particolarmente nei centri storici delle quattro città principali. Anche se spesso appaiono fatalisti e distaccati basta coinvolgerli in qualcosa che li appassiona e si accalorano e si entusiasmano con facilità. Quasi tutti gli abitanti del Witchcradt sanno suonare uno strumento musicale e si in generale di cose “belle”, sono creativi e consapevoli del potere dell’arte.
Va detto che quest’attitudine esuberante, vivace e temeraria è paradossalmente pervasa da una certa insicurezza che porta agli abitanti del Witchcraft a chiedersi come se la caverebbero al di fuori del loro mondo ed è per questo che portano grande rispetto e sono molto orgogliosi dei loro concittadini che emigrano e hanno successo, portando a tutta la loro comunità lustro e fama.
I giovani del Witchcraft non hanno possibilità infinite, e conoscono presto i limiti del loro territorio rurale e isolato, se non sono disposti a trasferirsi in una delle quattro città o percorrere gli studi militari o accademici è probabile che decidano di emigrare, ma solo per un breve periodo poiché portano il loro territorio nel cuore e prima o poi fanno ritorno.

“La solitudine è bella, ma abbiamo bisogno di qualcuno a cui dire che la solitudine è bella.”
Epitaffio dell’Eremita Orco Uruquel
Nel corso dei secoli lo stile di vita degli abitanti del Witchcraft è mutato radicalmente, d’altronde si è passati da un tessuto sociale composto prevalentemente da comunità familiari o tribali isolate, che risiedevano in fattorie sparse per il paese o nei villaggi lacustri a una società più urbanizzata dove la maggioranza della popolazione abita in sole quattro città.
 Malgrado l’orientamento più aperto verso il mondo esterno i legami familiari sono ancora molto forti, anche se i giovani nati nelle zono rurali spesso si trasferiscono per periodi più o meno lunghi nella zone urbanizzate per lavoro o per studio.
Per quanto possa sembrare strano gli abitanti del Witchcraft, anche nelle zone rurali, godono di un tenore di vita molto elevato, anche se sono grandi lavoratori e, quando lo sono, credono in San Bertram cosa che li porta ad impiegare il loro tempo libero in un secondo lavoro o comunque in un attività che non sia semplice svago.
La criminalità nelle zone rurali è prossima all’inesistenza, diverso è per le quattro città che con la loro manifesta dimostrazione di ricchezza attirano furbi e truffatori da ogni regione. Le leggi severe nei loro confronti però non li scoraggia e non è raro assistere in pubblica piazza al taglio della mano di un ladro o della lingua ad un truffatore e falsario.
La popolazione del Witccraft risiede per circa la metà nella grande capitale (circa 75.000 persone) e ciò la rende una delle più grandi, se non la più grande, di tutto il Regno della Valle. Le rimanenti anime sono distribuite per lo più nelle rimanenti tre grandi città e lungo le vie fluviali e lacustri. Chi si perde nel territorio del Witchcraft potrebbe vagare per settimane senza incontrare anima viva o peggio incontrare la torre di un mago che non desidera essere disturbato!
E’ da dire che il tasso di crescita della popolazione è sempre in positivo, sia per le nascite che per l’immigrazione. Come si è detto il tenore di vita del Witchcraf fa gola a molti, che però dimenticano le generazioni che sono servite per ottenerlo. 
L’immigrazione dunque è estremamente controllata da preposti uffici e non è permessa la costruzione di una propria abitazione a chi non è originario del luogo se non dopo aver dimostrato di possedere un mestiere e di essere socialmente utile.

“La guerra di religione? In pratica vi state uccidendo per decidere chi abbia l’amico immaginario migliore”
Estratto 3, 7-10 dei “Commentari alla Vita” di Janof Obstorn

Agli albori della colonizzazione la religione praticata nella regione del “mare congelato su cui soffia un vento infuocato” era quella dell’Asatru, ereditata dall’influenza del Dygray, che significa “fede negli Aersir” o “fede negli Dei Antichi”. Questa fede sopravvisse per secoli soprattutto nelle enclavi dei discendenti dei guerrieri cinocefali, anche durante la piena conversione al Re Divino instaurata con metodi non sempre pacifici dai monaci di San Bertram. Ovviamente le tue credenze si fusero, ma restò per molto tempo una commistione di usanze tra l’antico phanteon e quello nuovo soprattutto per tutto ciò che riguardava la natura. Non è difficile imbattersi in aperta campagna in megaliti incisi raffiguranti uno zotico omone a bordo di un cocchio trainato da capre il cui nome originario si è perso nelle pieghe del tempo. 
Quando ci si siede a tavola con un abitante del Witchcraft e questi invoca il “Hjok” bisogna assolutamente rispettare la pratica del triplice brindisi, ereditato dalle credenze Asatru, ed in cui si brinda una volta per gli Dei, una per gli antenati e per i morti onorevoli e il terzo è per qualsiasi persona si desideri onorare.
Oggi vi è libertà di culto, ma trovare templi o monasteri è difficile se non quelli dediti a San Bertram le cui rappresentanze sono per lo più di monaci orchi e guerrieri anche se non vi è alcuna limitazione di razza per l’accesso a tale ufficio se non quella dell’Abate Maggiore che è per tradizione sempre un orco o mezz’orco.
La comunità di San Bertram, per la sua potenza economica e peso sociale, è l’unica organizzazione ecclesiastica che il fu Thinkvellir, o la “Gilda dei Maghi” o attuale “Conclave” tiene in considerazione nel prendere delle decisioni che coinvolgano la popolazione.

“Se non è nei nostri archivi vuol dire che non esiste”
Juvook Jar – Orco Bibliotecario presso la biblioteca sospesa

Letteratura


Sanguinose, cupe e di grande effetto, le Saghe del 880 p.S. sono senza dubbio la maggior conquista letteraria del Witchcraft quanto tutti gli altri territorio ancora brancolavano nel buio dell’ignoranza e della superstizione. Scritte in limpida lingue runica, detto anche volgare antico, queste epiche continuano ad essere lette ed insegnate in tutti i corsi di storia e di letteratura dell’Accademia della Città della Magia. Delle Università, e delle scuole dei villaggi, conferendo un grande senso di unità e appartenenza a tutti gli studenti del territorio.
A parte queste epopee si annoverano tra gli scritti più importanti anche le raccolte di carmi di tre tipi: mitologici, gnomici ed eroici. Trascritti da una tradizione orale sono composti in metri dal numero di sillabe variabile e con una struttura molti simile al parlato dei dialetti del Dygray da cui i guerrieri cinocefali dovevano condividere degli antenati. I Carmi mitologici narrano ovviamente di divinità, quelli gnomici tendono a lodare le attività e le virtù del quotidiano e i carmi eroici narrano di personaggi di fantasia che attraverso le loro imprese dovrebbero fungere da esempio da seguire. 
Seguirono le opere importante dall’Impero di Osterton e quelle Elfiche.
Oggi la produzione letteraria è varia e variegata e ogni anno viene ampliato lo spazio in ogni settore della Biblioteca Sospesa per accogliere i nuovi volumi.

Musica

“Dopo il silenzio, ciò che meglio descrive l’inesprimibile è la musica.”
Bardo Gideon il Giovane, figlio di Gideon il Loquace

La musica tradizionale degli albori consisteva nel cantato delle epiche trasmesse per via orale da bardi e cantori, spesso accompagnati da rudimentali strumenti a corda o a fiato o semplici percussioni.
Con il tempo si sviluppò una tradizione musicale complessa e varia, ricca di strumenti di ogni genere, gli ultimi inseriti nelle orchestre e nei conservatori sono gli ottoni. Strumenti raffinati sia per produzione fisica (richiedono elevate conoscenze metallurgiche) che per sonorità. 
Il Witchcraft primeggia con i propri conservatori e spesso detta le nuove mode e tendenze in fatto di musica.

“Studia con il cervello, vivi con il fegato, cucina con il cuore”
Anonimo

Il Witchcraft è stato per molti secoli un territorio molto povero, in cui il cibo era esclusivamente una questione di sopravvivenza, i piatti della tradizione riflettono perciò una certa frugalità, soprattutto nella scelta degli ingredienti e che non tutti i visitatori sono sempre in grado di apprezzare per via dei sapori un po’ troppo rustici.
I contadini e pescatori hanno sempre vissuto in luoghi isolati e impervi, segnati da lunghi inverni rigidi che limitavano i raccolti e obbligavano chi viveva sulle sponde di fiumi e laghi a difendersi dal ghiaccio e dal vento. Ovini, pesci, uccelli e uova di quest’ultimi erano il cibo quotidiano per gli autoctoni; la carne proveniente anche dalla caccia, veniva consumata in ogni sua parte, che fosse essiccata o fresca, salata, affumicata, in salamoia o, come erano usi fare i guerrieri cinocefali seppellirla sotto la terra e neve.
Ben poco è cambiato nei tradizionalisti abitanti del Witchcraft, soprattutto nelle zone rurali, in cui nel corso dei secoli il pesce d’acqua dolce, agnelli, verdure, pane nero e tuberi continuano a formare la base della tipica alimentazione locale. Ciò che è mutato è come questo cibo viene presentato, poiché gli abitanti di queste terre amano l’arte e sono stati capaci di re-inventare i loro piatti secondo profumi e sapori anche importati dagli altri territori.
Pesce
Il pesce è sempre stato una colonna portante della dieta del Witchcraft, laghi e fiumi sono talmente abbondanti che sarebbe stato sciocco non sfruttarne le risorse. Quello servito nelle taverne o in vendita nei mercati è sempre fresco e di solito viene bollito, cotto in padella, al forno o alla griglia.
I guerrieri cinocefali ritenevano le guance e la lingua dei grandi storioni la parte più prelibata, ad sono divenute le loro uova ad esser molto apprezzate soprattutto negli ambienti bene della borghesia, spesso servite su tartine al burro e accompagnate dal miglior vino del Cronifugia.
Trote, salmerini, salmoni sono i più diffusi pesci. Solo con il dominio Seleide e il commercio con le regioni che si affacciano sul mare si è avuta l’importazione di pesce azzurro, per lo più aringhe, sotto sale o essiccate.
La carne di Balena rappresenta l’ultima moda in fatto di pesce nel Witchcraft
Carne
L’agnello del Witchcraft è ottimo. Durante l’estate le pecore vengono lasciate libere nei pascoli sulle montagne e nelle valli, per poi essere radunate in autunno e alloggiate negli ovili d’inverno. Il risultato di questa vita agiata è una carne tenerissima, con un leggero sapore selvatico. La carne e spesso servita in filetti, cotti in padella o affumicata.
Anche le bistecche di vitello sono eccellenti, ma più care e meno diffuse. Nel Witchcraft si consuma anche carne di cavallo o puledro, una prelibatezza, seppur riservata a chi possa permetterselo.
Negli altipiani e nelle zone lacustri si consumano anche rane, renne o alci. 
Tutti i volatili sono finiti in casseruola senza troppe distinzioni. Lo spiedo del Witchcraft è una commistione di carni ovine, suine e bovine insaporite con un trito ottenuto dalla frittura in burro e erbe aromatiche degli “uccelletti” catturati con ampie reti e solamente spiumati. Una volta resi croccanti dalla cottura vengono tritati fino ad ottenerne una poltiglia che mischiata al sale viene usate per insaporire le carni e donargli un gusto selvatico con una nota amara dovuta alle frattaglie in essa incorporate.
Un altro piatto tipico è la testa di pecora abbrustolita, usanza ereditata dalle tribù cinocefale e ancora diffusa nei territori più isolati. Con la stessa testa si ottiene anche una gelatina consumata per lo più a colazione e conservata nel latte.
Famoso è il Blotur, un salame di frattaglie insaccate in budello di pecora e poi lessato per ore, suo parente è il classico sanguinaccio di pecora (sangue e strutto mischiati) e insaccato nel diaframma dell’ovino.
Il re della tradizione però è il polpettone ottenuto dai testicoli di montone macerati nel latte e pressati.
Ovviamente, per la fortuna di molti, questi piatti rappresentano il passato di un popolo sopravvissuto ad un territorio avaro quanto sorprendente.
Dolci e Dessert
Frittelle di pasta di pane addolcito dal miele e il formaggio da bere, ottenuto dalla fermentazione del latte di pecora o capra rappresentano gli unici due esempi di dolci autoctoni. Per fortuna di tutti, con i rapporti con gli altri territori, oggi si può ritrovare ogni genere di leccornia e anche nelle case più isolate non manca un preziosissimo barattolo di zucchero con cui realizzare delle vere torte dai sapori speziati o dolci marmellate con i frutti del sottobosto.
Bevande Alcoliche
Il vino è quasi totalmente importato, il terreno carsico dona ai pochi vitigni presenti, una forte nota minerale che non a tutti risulta gradita. La coltura della vite avviene non a filari, ma a pozzi protetti da muri a secco che fermando il vento e proteggono le viti. Un prodotto non per tutti e non per tutte le tasche.
La birra è molto più diffusa, quella di malto d’orzo è la più apprezzata, ma non essendoci enormi distese coltivabili gli abitanti del Witchcraft hanno imparato a fermentare anche altri cereali, tra cui il farro e l’avena, donando a questa bevanda gusti, profumi e aromi molto differenti tra paesi e villaggi. Numerose feste spingono alla competizione i vari masti birrai, ma attualmente la miglior birra del Witchcraft è nelle botti del villaggio di Knopman sede del Monastero di San Bertram.
Durante il solstizio d’inverno gli abitanti del Witchcraft sono soliti stappare il Laolat, un distillato lattiginoso molto forte, estratto dalla fermentazione di alcune piante grasse che crescono a ridosso delle pozze sulfuree e delle sorgenti termali. A tratti leggermente azzurro-iridescente possiede un gusto molto forte e dolce, che lascia intorpidita la lingua ed i sensi dopo pochi bicchieri. Spesso chi lo consuma si risveglia direttamente il giorno successivo, felice e riposato.
Le abitudini dei Maghi e dell’Accademia delle Arti Magiche
Molti studenti al primo anno sono spinti ad una dieta vegetariana e priva di alcol. Alcuni di costoro diventano successivamente vegani. Non si è ancora capito il perché di questa strampalata scelta.
Cibi da viaggio
Come si è detto il Witchcraft possiede molti spazi semplicemente vuoti, non abitati e non civilizzati. Sia in passato che oggi le persone hanno dovuto affrontare lunghi viaggi senza aspettarsi di trovare alla fine della loro giornata di cammino una taverna in cui rifocillarsi. Per questo motivo molti cibi hanno assunto forme peculiari per facilitarne il trasporto.
Tipico è il “pane del Witchcraft”: una pagnotta a forma di ciambella cotta due volte e resa biscottata. Il suo foro, come quello presente tradizionalmente in tutte le posate del territorio, serviva a formare una “collana” che il viaggiatore portava al collo o allacciata al bagaglio, così da facilitarne la conservazione e il trasporto. Spesso si ritrovano ancora oggi piccole forme di formaggio, piccoli pezzi di carne essiccata e quant’altro con un foro per il “filo del viaggiatore”
Donare un “filo o una piccola corda” a chi si appressa ad un viaggio è divenuto augurio di buona sorte e di speranza nel futuro.

Il Territorio

“Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso.”
Massima filosofica degli Arcanisti dell’Accademia del Witchcraft

È difficile rimanere impassibili davanti all’incredibile varietà del panorama del Witchcraft e contrariamente a quanto si crede non è un territorio interamente rivestito di ghiacci, né un brullo paesaggio lunare fatto di lava congelata e tundra battuta dal vento. 
Entrambi questi scenari sono presenti, è vero, ma convivono fianco a fianco con colline ondulate, valli plasmate dai ghiacciai, distese fumanti di geyser, pozze di fango gorgogliante e ampie pianure desertiche incontaminate. Ed è proprio questa ricca convivenza di scenari che permette di esplorare da vicino le più estreme manifestazioni della bellezza naturale, ad attrarre, sorprendere e incantare chiunque sia tanto temerario da sfidare la natura di questo paese.

Il Witchcraft è protetto a ovest dalla dorsale dei Monti Aranoi, una catena montuosa che segna il confine tra due zolle tettoniche e che si estende dal profondo sud fino all’attuale Kromdar, abbracciando per intero il Cloudfort. Per questo motivo il Witchcraft è un laboratorio vivo e fumante adatto ad una lezione di geografia e vi verrà voglia di scoprire quale sia la vera natura dei vulcani, come si formano le morene glaciali, e il perché lava e magma non sono esattamente la stessa cosa. Il Witchcraft conta almeno una ventina di vulcani attivi, e centinaia di aree geotermali, un migliaio di sorgenti calde (quelle conosciute) e la calotta glaciale perenne più grande del Regno della Valle.
La sua posizione singolare, sulla faglia attiva di due zolle tettoniche, regala paesaggi straordinari e una riserva quasi infinita di energia e acqua calda, per gli stessi motivi sono frequenti disastri naturali.
Durante l’epoca delle prime colonizzazioni una serie di violente eruzioni causarono morte e distruzione tra i colonizzatori e durante l’epoca delle saghe una serie di rigidi inverni fece morire migliaia di persone di inedia a causa degli scarsi raccolti. I terremoti sono una costante e per tale motivo i costruttori del Witchcraft svilupparono tecniche particolari (vedi sezione architettura) nei secoli. Nubi tossiche vulcaniche e fratture nei ghiacciai costringono la popolazione ad un rapporto di profondo rispetto con la natura e caparbia sopravvivenza.

Fauna
A parte pecore, mucche, cavalli sarete molto fortunati a riuscire ad avvistare altri animali selvatici. L’unico animale veramente autoctono è la schiva volpe artica. Ogni altro animale presente è frutto dell’inserimento artificiale da parte dei coloni, sia per l’allevamento che per attività venatoria. Discorso diverso per l’avifauna che conta molteplici specie, spesso migratorie.
Flora
Benché molte zone del Witchcraft siano innegabilmente brulle, rimarrete sorpresi dalla flora avvicinandosi ai numerosi corsi d’acqua e ai laghi.
La vegetazione cresce per lo più al suolo e si espande il più possibile aggrappandosi al terreno molto suscettibile all’erosione degli elementi. Anche gli alberi (pochi se paragonati ad altre regioni) sopravvivono a stento. Durante l’estate però vi è un’esplosione di vita di fiore selvatici. Gli studiosi hanno elencato più di 500 specie differenti, tra i più famosi vi è l’epilobio un fiore rosa acceso, numerose varietà di sassifraghe e margherite. Nelle praterie spicca la platantera verdastra, una pallida orchidea dal fiore piccolo. Nelle zone più umide vi troverete l’erioforo un cotone selvatico che dà origine a piccole testoline biancastre. Primule e l’erica cerulea sono diffuse ovunque. 
Nelle zone più elevate vi si trova una tundra ricca di piante nane e licheni. Un’altra caratteristiche del territorio è la quantità di specie fungine, molte edibili, se conosciute.
Famosi sono i prati di muschio e licheni che ricoprono le colate laviche più recenti.
L’aurora boreale
Non poteva mancare questa potente manifestazione della natura e della trama magia del territorio. Aria e fuoco si uniscono in una danza stupenda nelle notti invernali.
I guerrieri cinocefali credevano che quelle luci fossero le anime dei morti e i loro sciamani li invocavano per scopi terapeutici. Ritenevano anche che i figli concepiti sotto la luce dell’aurora fossero destinati alla fortuna e a grandi imprese. Oggi però sono gli stregoni che cercano di attingere a quella manifestazione di potere per infondere nei loro artefatti potenti incantesimi.

Le Città

La Nuova Capitale: “La Città della Magia” o “Witchcraft”



La Città della Magia e le sue Ombre
Le strade ed i sentieri che portano alla capitale del Witchcraft sono arterie ricche e pulsanti di persone e di merci. L’oro, alla presenza di tanti maghi, non è un problema e si sa bene che ogni usufruitore di Magia è sempre a caccia di qualche reliquia, ingrediente o artefatto di impareggiabile rarità e valore per i propri studi ed esperimenti.
Il territorio attorno alla città della magia è da sempre brullo e graffiato da rocce basaltiche che, con la loro particolare geometria, creano spettacolari alveari sui selciati delle strade di campagna o canne d’organo a corollario di alte cascate.
La Città della Magia è di fatto “il monumento abbagliante” che nutre gli intellettuali del Regno, un gioiello prezioso per coloro che l’agognano, per i suoi segreti, le ricchezze e la cultura che custodisce.
Il mondo conosce bene le fulgide torri custodite dietro la Porta del Conclave, la città alta, proibita a coloro che non sono abbastanza ricchi, nobili o potenti nelle arti arcane. 
Scendendo lungo le vie della città media, custodita dalla Porta dell’Ingegno vi è il plauso riservato a coloro che si sono mostrati abili nelle arti e nei mestieri, aggiungendo fama e gloria al blasone già ricco di meriti della comunità del witchcraft. 
All’ombra della Porta del Popolo, prima delle tre cerchie murarie, sorge la Città Vecchia o Bassa, un torbido brodo di costruzioni appoggiate le une alle altre.
Il fasto della Città della Magia, riassunto nella Città Alta, è effettivamente un fulcro dell’arte e della cultura, però il continuo sorgere di edifici per dar alloggio alle nuove masse brulicanti di inurbati fuggiti dalle campagne, ha generato una nota distorta, come una sottile incrinatura nel bronzo di una campana, che solo un orecchio attento riesce a cogliere, prima che questa si infranga, rivelando al mondo la pochezza con cui è stata prodotta. In questo stesso modo nella città bassa quel benessere che doveva esser condiviso è in realtà un’arma potente, in mano di pochi e non vi è carica che non possa esser contrattata, legge acquistata o pena barattata secondo la convenienza dei giudici.
Mercanti, soldati, sventurati di guerra o giocatori d’azzardo la cui unica ricchezza residua risiede nella propria vita; tutti confluiscono con lenta inerzia in questa città dalle mille possibilità, attirati dalle ricchezze e dai suoi miti.
 Una Città che nonostante le sue contraddizioni e rigide tradizioni fiorisce, opulenta e bellissima.

Kumar la Triste
La frizzante aria di montagna e le strane e bellissime formazioni rocciose che si ergono su un colle solitario costituiscono un’attrattiva naturale per la piccola Kumar, situata sul versante occidentale del Lago Stara. Con un’aria un po’ da luogo dimenticato da tutti, una quiete immutabile e qualche testimonianza arrugginita dell’industria nanica dei monti Kaleto possiede un fascino che comincia ad attirare sempre più viaggiatori. Offre l’essenziale, ciò non di meno è ancora una località assai fuori mano, dove la noia sembra far capolino persino d’estate, fatta salva per la festa del fondatore l’Arcimago Kumar che, ancora prima della conquista Seleide, quando il Witchcraft era parte dell’Impero di Osterton, volle qui la propria Torre e scuola di Magia. Una festa che attira bardi e danzatori, artisti e immancabilmente grandi banchetti e bevute. Non mancano i racconti dei miti e delle leggende, forse con una nota nostalgica del pre-seledi, ma si sa, le genti del Witchcraft isolazioniste e abbarbicate alle loro tradizioni non sempre hanno visto di buon occhi il dominio elfico.
Le imponenti formazioni rocciose su cui sorge Kumar e ciò che resta della sua torre di magia, luogo in cui ancora oggi in pochi osano metter piede, torreggiano sul resto della città che si allunga verso la costa sud del lago con un piccolo porticciolo che permette la pesca e di accorciare di qualche giorno il viaggio verso la capitale del Ducato. La sua rocca resta perfettamente mimetizzata tra le sue bizzarrie rocciose che la natura o alcuni sostengono la magia le ha donato.
Infatti un altro nome con cui è nota Kumar è “l’Antropomorfa” e il nome è dovuto al mito della formazione delle sue caratteristiche rocce. Questi contorti pilastri di pietra sembrano assumere forme umane e animali, fluide creazioni che diventano particolarmente suggestive grazie alle costanti variazioni della luce e delle ombre durante il bagliore del tramonto. La leggenda narra di un amore tra Hijijuane la figlia di Kumar e un pastore che, suonando il flauto sotto la sua finestra la fece innamorare. Ella cedette all’amore e lo lasciò entrare nella Torre del padre. Meno di un anno dopo si udirono vagiti di bambino, ma quando il pastore tornò per prendere con sé Hijijuane e il bambino l’intervento di Kumar scosse la terra ed il cielo. Accecato dalla rabbia, dalla gelosia e non di meno dalla perdita del proprio onore tramutò tutti in pietra. Il pastore con il suo cavallo e la figlia con il bambino tra le braccia. Si dice che Kumar – soprannominato per l’appunto “il Triste” – da quel giorno impazzì e non uscì più dalla propria torre per il terrore ed il senso di colpa che rivedere la statua di pietra di sua figlia e del nipote suscitava ogni volta in lui. Si dice anche che morì nel tentativo di tramutare nuovamente la pietra in carne. Altri ancora sostengono che si tramutò egli stesso in pietra, avvolgendo in un abbraccio eterno la figlia ed il suo bambino.

La Vecchia Capitale: Shasidhar delle Tre Vite
L’antica Shasidhar si dice sia stata fondata da coloni del fu Impero di Osterton, fuggiti al regime dittatoriale che li opprimeva si ritrovarono dopo pochi decenni nuovamente sudditi dell’Impero in espansione verso nord e a margine delle Terre Elfiche. Non si sa bene per quale motivo essi fuggirono, ma della loro prima impresa restano alcune opere in muratura fagocitate da edifici più recenti.
La città sorge su di una stretta penisola che si allunga nel lago Burgas ed è caratterizzata da una miriade di viuzze in acciottolato rosso cangiante che ne fanno una delle principali attrattive per chi viene a visitare questo tratto della costa lacustre. In sé è un ottimo punto di partenza per visitare tutto il Ducato del Witchcraft poiché soddisfa, dopo la Capitale, tutte le necessità di avventurieri e mercanti. 
Shasidhar è di fatto il più antico insediamento civilizzato della regione (il borgo di Knopfman nei documenti ufficiali non è mai stato considerato “città”) e tra i suoi cittadini illustri vanta Copeo il Cieco, un famoso filosofo e astronomo, i cui testi sono consultabili presso la Biblioteca Sospesa. Agli albori la città era governata da un consiglio di arconti eletto dal popolo e prosperò con il commercio di Laolat, sal gemma, tessuti, ceramiche, rame e molto altro con il Dygray e con il Cronifugia (fino al conflitto con i Seleidi la popolazione non ebbe mai molti contatti con il popolo elfico). Lentamente l’influenza dell’insediamento si espanse fino a rappresentare la prima vera capitale del territorio, fino a che il ritorno dell’Impero e la sua conquista non la fecero cadere in rovina. La città restò quasi disabitata per decenni.
Quando la vita tornò a ripopolare l’insediamento la popolazione eresse una propria rocca sull’isola di Romsa, anche se il principale agglomerato urbano resta sulla terra ferma. Allo stesso modo un’altra delle isole del lago, la Valoya, venne edificata e oggi rappresenta il luogo di residenza dei più ricchi e benestanti tra i residenti che possono godere di una vista mozzafiato su tutto il territorio circostante. Al di sotto dell’acqua del lago di Burges si vocifera vi siano una serie di gallerie che mettono in comunicazione le isole che costellano il grande specchio d’acqua, ma per quanti le abbiano cercate abbagliati dai miti sui tesori li nascosti nessuno è mai riuscito a dimostrarne l’esistenza.
L’attuale nome della città, poiché quello antico nessuno lo ricorda, è dovuto alla torre del primo mago qui presente, che ad oggi funge da palazzo di giustizia e sede delle istituzioni della Corona.
Attorno a questa città sono state costruite una serie di torri di avvistamento che servivano ad intercettare le forze di Osterton, e se anche non servirono durante la Grande Guerra, ad oggi sono ancora al loro posto a guardia del confine con il Dygray, alcune trasformate in abitazioni e altre in masserie agricole perdendo il loro uso militare.
A Shasidar, per quanto possa sembrare strano, esiste anche un antico monastero, costruito utilizzando esclusivamente pietre di origine fluviale raccolte dal vicino fiume Olosey e legate tra loro con calce e sabbia. Al proprio interno ingloba parti di precedenti edifici ecclesiastici, tra cui un campanile a pianta quadrata. La muratura esterna a ciottoloni è scandita da quattro lesene che delimitano cinque campiture entro cui sono state ricavate monofore strombate. Il perimetro superiore è decorato con archetti pensili in cotto che creano un interessante gioco cromatico di ispirazione Ostertoniana.
Al suo interno trovano accoglienza alcune tombe e una cripta ad ambulacro di cui gli studiosi non riescono ancora a definirne in modo univoco l’ascendenza e lo stile ed a cui si accede da due scale in pietra poste sulle pareti laterali. Il monastero di originaria forma rettangolare venne ampliato con un’abside in tufo e mattoni per restituire un volume pentacolare agli interni. Al di sopra della cripta vi è un soppalco mobile in legno. Ampie raffigurazioni pittoriche a calce ricoprono le pareti e li vi si trova quella che ha dato il soprannome a tutta la città. Spicca infatti un affresco di tredici vergini, i cui volti rappresentano le prime tredici vestali di un culto dimenticato, assorte in preghiera verso un altare non più decifrabile a causa del tempo e della muffa. Solo un foglio resta visibile, una lunga pergamena ricca di nomi illeggibili. Delle vestali tre sono state dipinte senza volto e si mormora che esse furono cacciate dal monastero perché attratte da un bandito che all’epoca imperversava nelle foreste al limitare della città. Egli mostrò alle tre vestali il dono della libertà e del libero arbitrio e quando queste tornarono al cospetto delle sorelle furono lapidate con le stesse pietre che costituivano le fondamenta del tempio.
I volti delle tre vestali mancanti non furono mai dipinti e si mormora che i loro fantasmi siano ancora alla ricerca di una strada per ultimare quell’opera e finalmente trovare pace e perdono per il loro peccato.
Altri sostengono che sia stato il bandito a cancellare quei volti, per amore delle tre sorelle, che scrissero il loro nome sul contratto di un Dio sconosciuto peccando di ingenuità.
Per i più resta un monito al fatto che nel Witchcraft nessun Dio può esser anteposto al libero arbitrio delle persone.

Knopman, forse perché tutti nel Witchcraft conoscono la storia della sua fondazione o forse perché è l’unico agglomerato urbano a portare il nome di un personaggio storico considerato “Mhagraab” non ha mai ricevuto un soprannome. Nonostante sia il primo vero insediamento costituito nel Ducato e la sua storia sia legata a duplice fino agli orchi, al culto di San Bertram e ai guerrieri Cinocefali.
Knopman nei secoli non ha mai ricevuto lo status di città, borgo, villaggio o simili e questo perché l’unico edificio edificato in muratura e il monastero dedicato a San Bertram. Attorno a questo megalitico compresso ecclesiastico si è formato nel tempo un condensato di baraccopoli e tendopoli i cui occupanti mutano con la stessa velocità con cui muta il vento e le stagioni. 
Per lo più pellegrini, artigiani, artisti e qualsiasi altro disperato convinto di esser un genio nel proprio campo di impiego popola la piccola pianura chiusa tra l’ansa del fiume Guthlash e lo stesso Tempio.
Per gli stranieri Knopman potrebbe rappresentare l’equivalente di una Città Santa, ma non è così. 
Seppur le genti locali la guardino con rispetto e tengano molto in considerazione i Monaci di San Bertram i più dei questuanti sono stranieri. Questo è il vero motivo per cui Knopman non è mai stata registrata come città e non è mai proliferata. Nessun abitante del Witchcraft ha realmente apprezzato quell’invasione in casa propria, tanto da non volerne neanche sfruttare le possibilità economiche aprendovi un mercato o un bordello.
La mancanza di interesse popolare e l’intenso via vai di persone in questa “non-città” ha costituito un’anomalia unica, tanto da costringere la Corona Seleide a cedere gli uffici legislativo e esecutivo agli stessi monaci di San Bertram. Un’anomalia che ha generato una “non-città-stato” in cui i Monaci del possidente ordine sopracitato godono di una libertà pressoché assoluta in base agli accordi Conciliari firmati dall’allora Re Krutha Selede.
Per tradizione l’Abate è un Monaco Orco e la maggior parte dei monaci qui presenti sono Orchi, anche se non vi è alcuna restrizione per l’accesso ai voti monastici. Oltre all’Abate che è di fatto equiparato ad un piccolo monarca, vi sono altre due ruoli fondamentali per la gestione di questa “non-città”: il Gimbolog-hai il “Trovatore” e il Krimpolog-hai il “Incatenatore”.
Il primo ha la responsabilità di gestire e organizzare la massa di visitatori del Tempio, trovandogli alloggio e tenendo curati i registri di coloro che si fermano all’interno dell’immaginaria cerchia muraria di questa “non-città”. Il Gimbolog-hai ordina le diverse tipologie di artigiani all’interno della struttura della baraccopoli, che si sviluppava, secondo un andamento che potremmo definire a cerchi concentrici, con le professioni e le arti legate a merci non deteriorabili disposte al centro (per esempio orafi e profumieri), con quelle a impatto medio nel secondo cerchio (alimenti secchi, tessuti, calzature) e con le arti e professioni più “inquinanti” verso l’esterno (lattonieri, tintori, macellai, pescatori). Ogni genere di mestiere viene così posto accanto a quello dei propri simili, così da formare un gradiente culturale, igienico e sociale positivo verso il centro cittadino rappresentato dal Monastero.
Il Krimpolog-hai è il responsabile della sicurezza del Tempio e del servizio di polizia della “non-città”, poiché è vero che quasi nessun autoctono del Witchcraft ha investito in questo particolare luogo, ma è altrettanto vero che la stessa concentrazione di usi, costumi e culture diverse rappresenti una polveriera pronta ad incendiarsi. Il Krimpolog-hai accetta l’esistenza di un mercato nero, senza cui sarebbe impossibile sfamare tale popolazione, a patto che il Tempio abbia una sua quota di offerte e un costante acquisto di indulgenze. Nonostante quello che potrebbe sembrare un malcostume la vita è piuttosto sicura e sana, poiché lo stesso Krimpolog-hai veglia che i prezzi del mercato nero restino onesti e accessibili, in fin dei conti lui e i suoi confratelli sono servi del Re Divino, non di meno San Bertram è il Santo che maggiormente si interessa degli affari secolari e probabilmente questo è il più probabile motivo per cui è l’unico vero culto presente in modo importante in tutto il Witchcraft.
Il Tempio o Monastero con la sua mole megalitica sovrasta ogni cosa. Slanciati minareti, mosaici scintillanti, gli eleganti arabeschi della calligrafia Ostertoniana sono molti degli aspetti che affascina maggiormente i visitatori e pellegrini. 
La gerarchia delle arti è invertita in questo luogo e in tutti gli altri che, per fondazione, sono stati invasi dagli usi Imperiali, poiché in questo Ducato e ancor più tra i fedeli di San Bertram la tradizione artigianale è antica e venerata, mentre le arti visive rappresentano uno sviluppo più recente. Gli elementi decorativi hanno funzione di elevare lo spirito, mentre gli oggetti privi di uno scopo pratico e le immagini sono considerati futili o peggio ancora forme di vanità che rasentano l’idolatria.
La Calligrafia è tuttora la forma d’arte visiva che gode di maggior considerazione a Knopman, un arte praticata e perfezionata dai Monaci da oltre mille anni. Quest’arte non viene usata solo per il “Mugutra” (l’arte di copiare gli scritti di San Bertram) ma anche per decorare le pareti rivestite di piastrelle, all’interno degli archi stuccati e gli oggetti in legno scolpito. Osservando con attenzione l’interno del Tempio si può notare come lo stesso testo può sortire un effetto incredibilmente diverso a seconda dello stile calligrafico. Un calligrafo può occupare un’intera pagina con una sola parola, mentre un altro può trasformarla in un fiore, e un altro ancora piegare e intrecciare le lettere come se fosse un origami.
Nella scrittura dei Sacri Testi di San Bertram lo stile più usato è il “Lug”, un corsivo obliquo che venne introdotto al tempo dell’Impero. Lo stile “Nazg” presenta caratteri abilmente intrecciati in modo da formare motivi ornamentali, mentre la grafia “Durbat” anche questa dì origine Imperiale è contraddistinta da forme di grande impatto. Nel Tempio vi sono tre stili principali di “Durbat”: il quadrato, caratterizzato dalla presenza di lettere geometriche e angolari, il fiorito che sembra sbocciare dai motivi vegetali e quello intrecciato i cui grafeni ricordano i nodi dei marinai.

Il “Mhagraab”
Un’importante tradizione degli abitanti credenti del Witchcraft è costituita dalla venerazione dei “Mhagraab” un termine orchesco che significa “Beato”. Sono persone la cui condotta di vita è testimoniata da una fede così ardente e profonda da rendere sufficiente la loro stessa presenza –anche post mortem- per conferire la “Baka” o “Grazia”. I più credenti affrontano lunghi viaggi per visitare mausolei e santuari dedicati a queste mistiche figure.
Questa pratica di venerare i “Mhagraab” è in linea più con le antiche credenze Cinocefale che con il misticismo più ortodosso che in genere scoraggia tali venerazioni.